Il mondo della moda non è solo ciò che l’occhio fruisce a una sfilata; il mondo della moda non è solo l’abito dei sogni fatto e finito; il mondo della moda non è solo pura ed estrema bellezza.
Il mondo della moda sono le persone, sono le loro mani, sono i loro occhi e la loro grande creatività e professionalità.
Proprio per questo motivo, Vanity Fair ha deciso di dedicare il suo nuovo numero al grande sistema della moda, sottolineando la sua volontà di colpire principalmente la politica, ma informando tutti e tutte su quanto molto spesso si sottovaluti il lavoro che vive dietro la “macchina” del fashion.
Non si tratta di una protesta, bensì di un lancio chiaro ed efficace: “Quello che è non è quello che sembra”, recita lo slogan che apre (e precede) il titolo della rivista.
La copertina parla da sé. Agli abiti confezionati e perfettamente adagiati sui manichini, si alternano coloro che consentono la realizzazione di questi. Ogni singola persona – riconoscibile da camici bianchi, pantaloni e scarpe nere – costituisce un ingranaggio fondamentale per la buona riuscita di capi di moda indimenticabili.
Appaiono perfetti e impeccabili e l’occhio è così appagato da rimanere spiazzato nel vederli esposti nella loro bellezza ma, come recita lo slogan, “quello che è non è quello che sembra”.
Sì, perché dietro la concreta perfezione dell’abito vivono le storie di persone che ci mettono anima, corpo, passione; persone che hanno studiato e che ogni giorno si svegliano per realizzare qualcosa di indimenticabile. Con loro gli abiti esistono, senza di loro gli abiti sono nulla: loro sono gli abiti, loro sono persone.
Questo è il messaggio che Vanity Fair lancia al suo pubblico.
Aldilà della meraviglia, c’è sempre qualcuno che respira per realizzarla; porre attenzione a questo piccolo grande ingranaggio è necessario per non farlo collassare.
