Ho un debole per i testi ben scritti e ancor di più per chi riesce a parlare di marketing con leggerezza e profondità. Jennifer Clinehens è una di quelle persone. In un articolo recente della sua newsletter ha fatto una confessione semplice ma rivelatrice: è una fan di Starbucks. Sì, proprio quella catena che per alcuni è sinonimo di “basic”, “americano”, “industriale”. Ma a lei, come a milioni di altri, ha regalato un’esperienza: la prima vera esperienza da coffee shop.
Jennifer ci racconta di come da ragazzina – cresciuta guardando Friends e Frasier, dove andare in un bar era simbolo di vita adulta in città – abbia trovato in Starbucks il suo primo “posto speciale”. E ancora oggi, dopo un percorso che l’ha portata da violista classica a marketer internazionale, continua a concedersi un appuntamento fisso: il Pumpkin Spice Latte.
Questa bevanda non è solo una miscela di spezie da torta di zucca (cannella, noce moscata, zenzero) e caffè. È un rito stagionale, un momento riconoscibile, che torna ogni autunno. Un sapore diventato cultura. Anzi, psicologia.
Il segreto? Si chiama “Cognitive Fluency”
La “Cognitive Fluency” è quel fenomeno per cui, se qualcosa è facile da capire, prevedibile e riconoscibile, ci piace di più. E siamo più propensi a comprarla.
Nel tempo, il Pumpkin Spice Latte è diventato proprio questo: un concetto semplice, ripetuto, codificato. Un appuntamento annuale che torna puntuale e rassicurante, come le foglie che cadono e i maglioni di lana. Un caso di marketing riuscito non perché ci abbia stupito, ma perché ci ha addomesticato.
La forza del Pumpkin Spice Latte – spiega Clinehens – non sta solo nel gusto o nel packaging stagionale, ma in un insieme di scelte strategiche:
- Semplicità nel messaggio (“sa di spezie d’autunno”);
- Educazione iniziale (all’inizio Starbucks spiegava cosa fosse quel gusto sconosciuto);
- Ripetizione (ogni anno, per un periodo limitato, ritorna);
- Familiarità (oggi ogni brand americano ha il suo prodotto “pumpkin spice”).
E mentre alcuni esperti si chiedono se anticiparne troppo il lancio (come fatto di recente) ne diluisca l’effetto, resta chiaro che questa non è solo una bevanda, ma un simbolo.
Ora fermiamoci un attimo e chiediamoci: cosa ci insegna tutto questo nel contesto della ristorazione italiana?
- Non è necessario inseguire la novità estrema per creare desiderio.
A volte, ciò che funziona davvero è ripetere bene, creare un’abitudine.
E in Italia, patria delle stagioni e dei riti, questo concetto è ancora più potente. - Abbiamo già le nostre “Pumpkin Spice Latte”: si chiamano castagnaccio, vin brulé, panettone, colomba.
Ma li trattiamo come reliquie, non come esperienze. Invece, il marketing può renderli vivi. Perché non creare una piccola linea autunnale nei bar o bistrot, che ritorna ogni anno con la stessa attesa? - Molti locali italiani cambiano continuamente, senza mai “tornare”.
Non c’è abbastanza memoria nei format. Non ci sono appuntamenti fissi. Non c’è attesa. Invece, la coerenza temporale è un’arma sottovalutata. - La Cognitive Fluency vale anche per il servizio.
Non solo per i prodotti. Entrare in un locale e capire subito cosa si fa, come funziona, cosa aspettarsi: questa chiarezza costruisce fiducia. Anche qui, ci sarebbe da imparare.
Conclusione obliqua
Il Pumpkin Spice Latte non è buono. O meglio: non è quello il punto.
È un profumo d’infanzia inventato, una promessa ciclica, un pezzo di storytelling servito caldo. E oggi, in un mondo sempre più disordinato, ci aggrappiamo volentieri a ciò che torna, puntuale, uguale e riconoscibile.
Quindi sì, fate pure il vostro zabaione rivisitato, ma pensate anche al prossimo autunno. E a quello dopo. Perché la nostalgia programmata non è solo un trucco: è una forma gentile di fedeltà.
Fonti:
Testo originale: Jennifer Clinehens – LinkedIn e choicehacking.com
Dati su vendite PSL: estimate da media e report pubblici su Starbucks
Concetto di Cognitive Fluency: elaborato da psicologia comportamentale e studi di marketing citati dalla stessa autrice.