In ogni catena c’è un momento in cui l’imprenditore si accorge che qualcosa sta cambiando: lo sguardo sul servizio si allontana, il controllo si diluisce, la cultura rischia di rallentare. Qui che arriva la verità che tutti, prima o poi, imparano: il brand non lo porta avanti chi lo ha creato, ma chi lo custodisce ogni giorno nel punto vendita.
Alex Compton, fondatore di Compton’s Sandwich Shop, lo sintetizza così (https://www.qsrmagazine.com/story/6-questions-with-comptons-sandwich-shop-founder-alex-compton/):
“If you can’t be at your store every day, your managers are the ones who carry your vision.”
“Carry your vision” non è un concetto astratto, ma un lavoro psicologico e operativo insieme, soprattutto quando si combatte contro un nemico silenzioso: l’Hedonic Adaptation, il meccanismo per cui ciò che una volta stupiva diventa normalità. Un sorriso perfetto, un locale pulito, un servizio rapido: sono fondamentali… ma dopo un po’ non bastano più. Diventano invisibili.
E la persona che soprattutto impedisce a un brand di diventare invisibile è sempre la stessa: lo Store Manager.
Alcuni esempi interessanti
Portillo’s – I Manager come registi invisibili dei “micro-rituali”
Portillo’s (casual dining cult del Midwest) ha una strategia unica: ogni locale ha rituali (non protocolli) di servizio decisi dai manager. In un punto vendita il manager fa chiamare le comande in coro durante i picchi di affluenza; in un altro il saluto d’ingresso prevede una battuta diversa ogni settimana. Piccole varianti che mantengono vivo il servizio e impediscono che l’esperienza diventi un “copione morto”.
Zingerman’s Roadhouse – Manager come “Storyteller in Chief”
Zingerman’s (Ann Arbor) è un’istituzione dell’ospitalità americana. Nei loro ristoranti i manager hanno un ruolo raro: devono raccontare le storie dei produttori al team. Prima di un servizio, un manager può dedicare due minuti a spiegare chi produce il cheddar o perché è stata scelta una certa bistecca. Risultato? Il team rimane motivato perché comprende il “perché” dietro al cibo e il servizio resta umano, non meccanico.
Torchy’s Tacos – Manager come “Cacciatori di idee”
Torchy’s è nata come food truck ad Austin ed è diventata un fenomeno. Uno dei segreti? Ogni mese i manager devono inviare al quartier generale tre idee: una sul servizio, una sul prodotto e una sulla community. Molte idee diventano standard di brand. Così l’esperienza evolve continuamente e l’adattamento edonico non ha spazio: la sorpresa diventa parte del metodo.
Culver’s – Il Manager come mentore della cultura del Midwestern kindness
Culver’s è un laboratorio di gentilezza. Ogni manager riceve una formazione specifica su come mantenere la “Midwestern hospitality”, un tono caldo e informale che è diventato marchio di fabbrica. Il fondatore non può essere nei 900 locali, ma i manager sì e sono loro a custodire la promessa di gentilezza costante, senza farla scivolare nel gesto automatico.
Cosa possiamo applicare subito nelle nostre catene
- La routine va spezzata, non subita. Micro-rituali, micro-varianti, micro-storie: ciò che sorprende non deve essere enorme, basta che sia vivo.
- I manager devono avere voce, non solo compiti. Chi vive il locale ogni giorno vede cose che la sede non vede: raccogliere idee, come fa Torchy’s, è un superpotere nascosto.
- Il “perché” va raccontato ogni settimana. Proprio come a Zingerman’s: un team che conosce il significato del proprio lavoro non finisce mai nel pilot automatico.
- La gentilezza non si improvvisa. È un linguaggio e il manager è il primo modello. Si impara, si allena, si osserva.
Conclusione
Non puoi essere in tutti i punti vendita, non puoi vedere tutto, non puoi correggere tutto. Ma puoi fare una cosa potentissima: scegliere, formare e sostenere Store Manager capaci di tenere il brand vivo, riconoscibile, sorprendente.
Alex Compton ha ragione: “Your managers carry your vision.” Ed è proprio così:
non sono solo impiegati. Sono il prolungamento della tua presenza. Sono il tuo brand quando tu non ci sei.



